IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 23 ottobre 1998 nel procedimento di esecuzione nei confronti di Montefusco Nicola. O s s e r v a 1. - In data 24 giugno 1998 il procuratore in sede chiedeva a questo tribunale di revocare i benefici della sospensione condizionale della pena concessi a Montefusco Nicola, con le condanne emesse nei termini che seguono: a) dalla Corte di Appello di Napoli il 4 luglio 1990, irrevocabile il 27 luglio 1990 (mesi 9 di reclusione e L. 300.00 di multa); b) dal tribunale di Napoli il 30 marzo 1992, irrevocabile il 25 maggio 1992 (un anno di reclusione e L. 600.000 di multa); c) dal pretore di Torre A. il 20 ottobre 1992, irrevocabile il 5 dicembre 1992 (un mese e 10 giorni di arresto e L. 80.000 di ammenda). Cio' sul presupposto che nei termini di legge intervenivano successive condanne che imponevano la revoca del beneficio in questione. Fissata l'udienza ai sensi dell'art. 665 c.p.p., regolarmente avvisate parti e difensore, il p.m. si riportava alla precedente richiesta e la difesa si rimetteva al tribunale, che si riservava la decisione: questa si concretizzava nella presente ordinanza. 2. - Va subito evidenziato come le "pene sospese" sub b) e c) siano sopravvenute a seguito del rito alternativo di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p., mentre solo la prima a seguito del giudizio ordinario. E' anche evidente come le stesse si siano susseguite nei termini ai quali l'art. 168, comma 1, c.p riconnette la revoca del beneficio ipso iure, essendone pacifica la decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza concedente il beneficio stesso. E' indubbiamente superfluo ricordare come, in ogni caso, la sospensione condizionale della pena non possa essere concessa a colui che ne abbia gia' usufruito due volte, qualunque sia la specie ed entita' delle pene inflitte. Orbene, come vedremo di qui a poco, sulla base del diritto "vivente", il collegio non puo' revocare alcuno dei benefici concessi, neanche il terzo, palesemente illegittimo. In tali termini si evidenzia la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale intrapresa. 3. - E' noto il costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione circa la natura giuridica della sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 ss. c.p.p. e le sue conseguenziali applicazioni per quanto ci interessa: dal momento che la stessa "non ha natura di sentenza di condanna, essa non puo' costituire titolo idoneo alla revoca, a norma dell'art. 168, comma 1, n. 1, c.p., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa" (tra le molteplici della S.C.: sez. I, sent. 6837 del 28 gennaio 1998; sez. I, sent. 5546 del 16 dicembre 1997; S.U., sent. 3600 del 18 aprile 1997; sez. I, sent. 5751 del 17 marzo 1997; sez. I, sent. 6680 del 27 febbraio 1997; sez. IV, sent. 2272 del 21 gennaio 1997; SU., sent. 11 del 4 giugno 1996). Tutte le riportate sentenze ribadiscono come il presupposto sostanziale di cui all'art. 168 c.p. sia costituito dalla accertata nuova responsabilita' penale dell'imputato, non desumibile dalla sentenza di patteggiamento, che si sostanzia nella applicazione di una pena "senza giudizio". Corollario di tale indirizzo e' l'affermazione della illegittimita' della revoca della sospensione condizionale della pena concessa con precedente condanna, a seguito dell'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. Proprio l'ossequio a tali principi consentirebbe al Montefusco di beneficiare di una terza sospensione: infatti, la pena sub c) non consente di revocare i precedenti benefici; ma v'e' di piu'| La terza sospensione, benche' illegittimamente concessa (presumibilmente a cagione dell'inevitabile lasso di tempo necessario per l'aggiornamento del casellario), non puo' essere revocata da questo giudice dell'esecuzione, che andrebbe erroneamente ad incidere sull'accordo, o meglio, sulle sue modalita', come disciplinate dalle parti innanzi al pretore di Torre A. Al riguardo, infatti, il giudice dell'esecuzione non puo' rilevare l'inesatta concessione del beneficio, stante l'intervenuto giudicato sul punto. 3.1. - Tale situazione, invece, se emergente nella fase della cognizione, trova un suo immediato correttivo. Infatti, non vi e' alcun dubbio, ed e' giurisprudenza pacifica, che e' illegittima la sentenza di condanna a pena patteggiata che sia condizionalmente sospesa in favore di soggetto al quale il beneficio sia stato gia' concesso in precedenza per due volte. Tale sentenza, affermano i giudici di legittimita', impugnata ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. - per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, dovendo il giudice rigettare la richiesta ai sensi dell'art. 444 u.c. c.p.p. - deve ritenersi affetta da nullita' nel suo insieme, con contestuale trasmissione degli atti al giudice a quo per l'ulteriore corso, potendosi verificare o che l'accordo venga riproposto in termini diversi o che non venga riproposto, nel qual caso il procedimento dovra' proseguire con il rito ordinario. 4. - In tali termini, quindi, la questione appare altresi' fondata, non potendosi consentire la violazione delle norme penali sostanziali... per il naturale e doveroso tempo necessario ad iscrivere nel relativo casellario giudiziale i provvedimenti emessi dall'A.G. nei confronti di un soggetto imputato. E' evidente la violazione dell'art. 3 della Costituzione, espressione di un "generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo" (Corte cost. n. 204/1982), nonche' del principio di ragionevolezza, per cui la legge deve trattare in maniera eguale situazioni eguali ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse. E "cittadini-imputati-condannati" gia' beneficianti di due sospensioni condizionali, rimangono tali sia nel caso in cui il casellario risulti aggiornato, sia nella negativa: e non puo' tale evenienza, meramente accidentale e meccanica, giustificare trattamenti cosi' diversi. Sia che lo si scopra nella fase cognitiva, sia in quella esecutiva vi e' omogeneita' tra le situazioni raffrontate: e', quindi, irrazionale la diversita' di trattamento riservata dall'ordinamento, che, in un caso, reagisce alla violazione (fase della cognizione) e, nell'altro, rimane inerte (fase della esecuzione). Si badi, con questo il collegio non intende assolutamente discutere l'esposto orientamento della Suprema Corte: cio' che e' da evitare e' che un soggetto possa beneficiare di una terza sospensione condizionale della pena. Di conseguenza al giudice dell'esecuzione non puo' e non deve essere inibita la revoca del beneficio ultroneo: al riguardo va considerato che il condannato non puo' ignorare di star beneficiando di una terza sospensione di pena, di talche' la revoca della stessa si palesa l'unica soluzione possibile, trattandosi di provvedimento passato in giudicato, e non potendosi, in tale sede, argomentarsi cosi' come nella fase cognitiva (nullita' della sentenza). L'art. 5 del codice penale esplica al riguardo la sua funzione: innanzi al suo casellario non aggiornato solo l'imputato ha contezza di aver beneficiato di due sospensioni e, di conseguenza, se subordina l'accordo a un beneficio non conseguibile non puo' poi dolersene se l'ordinamento appresta i mezzi per eliminarlo. 4.1. Pur con tutte le diversita' della materia, in sede civile se viene apposta una condizione illecita a un patto singolo del contratto si applica la disposizione di cui all'art. 1419 c.c. che comporta la nullita' dell'intero negozio solo nel caso in cui risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza la parte negoziale colpita dalla nullita'. Ma se una tale situazione psicologica e' di esclusivo appannaggio dell'imputato - essendo quanto meno indifferente al p.m. la concessione del beneficio di cui all'art. 163 c.p. - e se tale situazione e' stata creata dallo stesso imputato, per dolo o sicuramente almeno per ignoranza evitabilissima, non si vede perche', una volta scoperta la situazione nella fase esecutiva, non possa il giudice revocare il beneficio ulteriore.